Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 12 settembre 2016 Personalmente ritengo sbagliato che il referendum sulla riforma costituzionale, venga tramutato in una sorta di plebiscito a favore o contro il Presidente del consiglio Renzi. Intendo quindi esprimermi soltanto sulla materia costituzionale, e sulla connessa legge elettorale per la Camera («Italicum»), che ne costituisce il logico completamento. Una riforma costituzionale non deve mai essere legata alle sorti di alcun Governo «pro tempore», perché la Costituzione, anche se riformabile e riformata (alle riforme precedenti ho partecipato io stesso), è la legge fondamentale che riguarda tutti i cittadini, a prescindere dalle transeunti maggioranze di governo. E deve avere la capacità e possibilità di una lunga durata e validità, al di là delle singole contingenze politiche. Per quanto riguarda la riforma elettorale, si tratta di una legge inaccettabile sotto diversi profili. In particolare ritengo sbagliato: 1) che il premio di maggioranza possa essere dato anche a chi non ha raggiunto il 50% dei voti espressi, il che permetterà di ottenerlo anche sulla base del consenso di una ristretta minoranza di elettori (20-25%); 2) che sia esclusa la possibilità di formare coalizioni, come invece è previsto per le elezioni regionali e comunali; 3) che siano previsti i capilista bloccati decisi dalle segreterie dei partiti, con possibilità di candidature plurime (fino a dieci!), mettendo in questo modo esclusivamente nelle mani dei segretari di partito la scelta verticistica della maggioranza degli eletti; 4) che tutto questo comporti di fatto una modificazione surrettizia della forma di Governo, con una sorta di «democrazia di investitura» obbligata sulla base dei risultati elettorali. Per quanto riguarda la riforma costituzionale, un giudizio analitico può far emergere sia luci che ombre, ma complessivamente si tratta di una riforma non condivisibile per il suo impianto complessivo. Tra gli aspetti positivi possono essere citati la più rigorosa disciplina della decretazione d'urgenza e la soppressione del Cnel, organismo ormai totalmente obsoleto. Tuttavia entrambi gli obiettivi avrebbero potuto essere raggiunti con singole leggi costituzionali «ad hoc», che avrebbero realisticamente trovato il consenso della quasi totalità del Parlamento. In ogni caso, le ombre e gli aspetti critici della riforma prevalgono nettamente. Il superamento del bicameralismo paritario, obiettivo condivisibile, è stato realizzato in modo confuso e pasticciato, sotto il profilo sia della composizione del futuro Senato, sia delle sue competenze legislative. Appaiono inaccettabili e contradditorie tanto le modalità di elezione indiretta, quanto la sua ambigua natura politica, priva di effettiva rappresentanza territoriale. Per quanto riguarda la modifica del Titolo V in materia di autonomie regionali, anziché individuare alcune limitate e specifiche correzioni rispetto alla riforma del 2001 e confermata dal referendum popolare - ad esempio in materia di infrastrutture nazionali, di energia e di turismo -, si è scelta la strada di un totale stravolgimento dell'impianto precedente. Anziché arrivare ad una forma di regionalismo ben articolato ed equilibrato, si è arrivati ad una vera «controriforma» con una fortissima ricentralizzazione dei poteri in capo allo Stato, svuotando di competenze e responsabilità il sistema delle Regioni a Statuto ordinario, congelando invece gli effetti della riforma stessa per le cinque Regioni a Statuto speciale. Inoltre la riforma costituzionale triplica le firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare e riduce il quorum di validità per i referendum popolari solo a prezzo di un forte aumento (da 500.00 a 800.000) delle firme necessarie per la loro promozione, a fronte delle enormi difficoltà per la certificazione delle firme dei cittadini. Complessivamente, il combinato disposto della riforma costituzionale e della legge elettorale darebbe vita ad un assetto costituzionale e istituzionale fortemente squilibrato sul lato della governabilità, a scapito della altrettanto essenziale - e fondamentale in democrazia - rappresentatività. Non sarà la campagna demagogica e populista sui costi della politica a poter strumentalmente coprire gli squilibri politici e istituzionali, il surrettizio cambiamento della forma di Stato e della forma di Governo, le incoerenze e numerose complicazioni del procedimento legislativo (basti leggere l'incredibile nuovo art.70), le ripercussioni negative sul sistema delle garanzie costituzionali e dei «pesi e contrappesi». Pochi giorni fa Renzi ha sentenziato: «In questo referendum si tratta di ridurre le poltrone. Punto!». Sinceramente mi sono vergognato per lui e anche per i cittadini italiani che sono invitati a votare con questa demagogia. Per tutti questi motivi, ritengo necessario sostenere il No nel referendum costituzionale. D'altra parte, il Presidente del consiglio Renzi, e con lui la Ministra Boschi, sbagliano radicalmente nel mettere sullo stesso piano l'esito del referendum e le sorti del Governo. In ogni caso, se per propria decisione cadesse il Governo Renzi, non ci sarà alcun obbligo o automatismo di scioglimento delle Camere, essendo questa una esclusiva responsabilità del Presidente della Repubblica. Il quale, per dettato costituzionale, dovrà eventualmente o rinviare l'attuale Governo alle Camere o individuare un altro Presidente del consiglio. Se prevarranno i No, è falso inoltre affermare che si chiuderà il capitolo delle riforme. Un capitolo che si potrà invece tempestivamente riaprire già in questa legislatura, sia per quanto riguarda le leggi elettorali per la Camera e il Senato, sia con singole modifiche costituzionali per le parti più largamente condivise. E, nella prossima legislatura, con un Parlamento più democraticamente legittimato rispetto a quello espresso dal «Porcellum», con la capacità di elaborare una riforma più equilibrata, più condivisa e più largamente partecipata. Marco Boato
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MARCO BOATO vedi anche: Conferenza stampa Documenti e articoli |
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